I principali effetti del fast fashion e le necessità di un coordinamento
L’industria della moda costituisce uno dei maggiori responsabili dell’inquinamento mondiale; la produzione su larga scala di capi d’abbigliamento determina numerose problematiche non solo ambientali ma anche sociali e l’avanzata del fast fashion non ha fatto altro che accelerare questo processo.
La cosiddetta “moda veloce” genera impatti rilevanti sull’ecosistema: dall’inquinamento delle acque alle emissioni di gas serra, lo sfruttamento del suolo e il difficile smaltimento dei rifiuti prodotti.
Non meno rilevanti sono gli aspetti sociali, le aziende tendono a delocalizzare la produzione in regioni come India, Turchia, Cina, Bangladesh, America Latina e Asia meridionale spinti dalla ricerca di costi di produzione inferiori e una catena di approvvigionamento efficiente. La decisione di collocare la produzione in tali paesi è favorita dalle normative del lavoro meno stringenti rispetto a quelle europee, salari più bassi e dalla maggiore disponibilità di manodopera che consentono alle aziende di massimizzare i loro profitti riducendo i costi.
Il settore della moda si afferma come un importante attore nel panorama mondiale, ma si rileva allo stesso tempo l’assenza di una disciplina normativa unitaria nell’ambito della produzione tessile in grado di favorire una produzione sostenibile.
L’Unione europea interviene a sostegno del settore con la Strategia dell’UE per i prodotti tessili sostenibili e circolari nel marzo 2022. I motivi che hanno spinto alla promozione di tale iniziativa risiedono nel costante aumento della produzione di prodotti tessili che si stima sia quasi raddoppiata dal 2000 al 2015 e con esso, il consumo di capi d’abbigliamento e calzature; l’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) stima che questa possa raggiungere 102 milioni di tonnellate entro il 2030. L’affermarsi del fast fashion spinge i consumatori ad acquistare capi di qualità inferiore a prezzi più bassi in relazione alle tendenze del momento, alimentando l’utilizzo di risorse non rinnovabili e l’utilizzo di fibre sintetiche come il poliestere, frutto di un modello di economia lineare che non considera la qualità e la riciclabilità del prodotto tessile. A seguito della pandemia di COVID-19 e l’invasione russa in Ucraina si sono verificate ripercussioni negative sul settore a livello globale, a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia e dell’impatto causato sui segmenti di esportazione dei prodotti tessili e della diminuzione della domanda che hanno generato effetti negativi sulle imprese. Il piano d’azione dell’UE spinge verso una transizione sostenibile e circolare non solo nella produzione, ma anche nel consumo e commercio, riducendo l’impronta ambientale dei prodotti tessili nell’intero ciclo di vita, ma anche migliorando le condizioni di lavoro nel rispetto delle norme europee e internazionali. La Strategia nel dettaglio dispone:
“Entro il 2030 i prodotti tessili immessi sul mercato dell'UE saranno durevoli e riciclabili, in larga misura costituiti da fibre riciclate, privi di sostanze pericolose e prodotti nel rispetto dei diritti sociali e dell'ambiente. I consumatori beneficiano più a lungo di tessili di elevata qualità a prezzi accessibili, la moda rapida è fuori moda e vi è un'ampia disponibilità di servizi di riutilizzo e riparazione economicamente vantaggiosi. In un settore tessile competitivo, resiliente e innovativo, i produttori si assumono la responsabilità dei loro prodotti lungo la catena del valore, anche quando tali prodotti diventano rifiuti. L'ecosistema tessile circolare è prospero e si fonda su capacità sufficienti per il riciclaggio innovativo a ciclo chiuso, mentre l'incenerimento e il collocamento in discarica dei tessili sono ridotti al minimo.”
Gli interventi chiave per la buona riuscita del nuovo modello di produzione tessile risiedono in particolare nell’attenzione alla composizione dei materiali e alla possibilità del loro riutilizzo, evitando di utilizzare sostanze chimiche preoccupanti che non favoriscono il riciclo: in tale ambito è possibile ricollegare il regolamento REACH al fine di garantire la sicurezza e la sostenibilità degli elementi utilizzati, evitando l’impiego di sostanze potenzialmente cancerogene o tossiche. Il tal caso la Commissione europea volgerà la propria attenzione alla progettazione ecocompatibile del prodotto al fine incrementarne la durabilità e favorirne il riutilizzo, la riparabilità e la riciclabilità. Per evitare poi la distruzione delle merci invenute o resa, la Commissione propone di rendere pubblico il numero di capi buttati e distrutti al fine di poter disporre il riutilizzo o riciclaggio, introducendo dei divieti di distruzione.
Un ulteriore elemento che la Commissione introdurrà è il passaporto digitale dei prodotti per i tessili, per cui i tessili venduti sul mercato dell’Unione devono presentare una etichetta che descriva la composizione fibrosa ed eventuali componenti di origine animale, seguita dall’obbligo di comunicare informazioni circa la provenienza del prodotto. Si dispone inoltre che i consumatori ricevano, presso il punto vendita, le informazioni su una garanzia commerciale di durabilità e le informazioni pertinenti sulla riparazione del capo.
Ancor prima di sensibilizzare il consumatore all’acquisto sostenibile, l’impegno deve risiedere nelle imprese che devono internalizzare il cambiamento riducendo la produzione di microcollezioni stagionali e assumersi la responsabilità degli impatti prodotti.
La Commissione renderà accessibili le informazioni su come sostenere il passaggio all’economia circolare, incoraggiando direttamente gli Stati membri all’adozione di misure fiscali volte al settore tessile, inoltre, si adopererà per aumentare la trasparenza e la sostenibilità del commercio mondiale dei rifiuti tessili e dei tessili usati in linea con il più generale obiettivo di aumentare la sostenibilità delle pratiche commerciali. Questo impegno sarà sicuramente un percorso tortuoso e complesso, ma è finalizzato al raggiungimento di un futuro più equo.
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